venerdì 8 novembre 2013

La differenza tra "investire" in Italia e "comprare" in Italia

di Achille Nobiloni

Qual è la differenza tra “investire in Italia” e comprarsi un’azienda italiana? C’è chi sostiene che tra le due cose non vi sia differenza e il fatto che uno straniero compri un’azienda italiana vada considerato come un risultato positivo degli sforzi per attrarre gli investitori stranieri in Italia.
Secondo me invece la differenza c’è, eccome: chi “investe” in Italia crede nel nostro Paese e nelle nostre competenze (tutto sta a vedere quanti e quali sono quelli che ancora lo fanno), viene quindi da noi, compra un terreno, ci costruisce sopra una fabbrica, magari una succursale dell’industria che gestisce in patria, assume gente e crea una nuova attività produttiva. Chi invece compra una azienda in Italia non sempre è animato dagli stessi intenti e a volte può anzi essere mosso da un fine predatorio: viene in Italia, si compra un’azienda locale, magari complementare all’attività principale che egli svolge in patria, inserisce l’azienda italiana nel proprio circuito internazionale sfruttando sinergie e razionalizzazioni a discapito della stessa azienda italiana quando non addirittura smembrandola con la classica tecnica dello “spezzatino” o prosciugandone le risorse.
Esemplare a tale riguardo è quanto riportava l’articolo qui sotto del Fatto Quotidiano del 6 novembre scorso.

Dal Fatto Quotidiano del 6 novembre scorso
Certo questo non vuol dire che quella descritta qui sopra sia la regola ma certo è un rischio che si corre a vendere le nostre aziende agli stranieri, specialmente a quelli che in barba a ogni principio di reciprocità sono solitamente molto attenti a difendere le proprie aziende nazionali (in questo caso “nazionali” non sta per “pubbliche” ma vuol dire “della loro stessa nazionalità”).
Insomma nessun pregiudizio a fare entrare gli stranieri nell’azionariato delle aziende italiane ma solo una particolare attenzione quando le loro quote arrivano a superano il 50% e rappresentano quindi una vendita vera e propria del controllo di tutta l’azienda.Per carità, esistono esempi virtuosi di tali cessioni, come quello della cessione della Nuovo Pignone alla General Electric, ma ve ne sono anche meno virtuosi, come quello ricordato nel ritaglio qui sopra.
L’Italia non brilla certo per la dimensione delle proprie aziende e quindi neanche per la loro presenza nelle principali graduatorie Top 10 o Top 50 internazionali. Continuare a spezzettare e (s)vendere (?) la nostra industria potrebbe non essere la scelta migliore in uno scenario in cui tutti i Paesi che stanno meglio di noi parlano di mercato unico europeo, unbundling e globalizzazione … ma poi continuano a difendere gelosamente le proprie aziende più grandi.

giovedì 7 novembre 2013

L'Italia che non trova 3 miliardi per l'IMU ma ne "gioca" 75 l'anno

di Achille Nobiloni

Strano Paese l’Italia e strano popolo gli italiani: non si riesce a trovare un miliardo di euro per non far aumentare l’Iva, non si trovano 4 miliardi per abolire l’IMU, ci si accapiglia per 12 miliardi l’anno per le pensioni considerate d’oro (cioè quelle al di sopra dei 5.300 euro lordi al mese) ma in un solo anno si spendono 75 miliardi (s-e-t-t-a-n-t-a-c-i-n-q-u-e-!!!) in giochi legalizzati.
I dati, riferiti al 2011, sono quelli riportati il 1° dicembre di quell’anno sul n. 48 di Sette, l'inserto settimanale del Corriere della Sera: nel 2011 gli italiani hanno speso quasi 75 miliardi di euro in giochi: quasi 7 nel gioco del Lotto; oltre 2 nel Superenalotto; 300 milioni nel Win for life; oltre 10 miliardi nei Gratta e vinci;  quasi 4 in giochi "a base sportiva" (immagino sia il vecchio Totocalcio); oltre un miliardo nelle corse ippiche;  quasi 2 nel Bingo;  addirittura più di 29 con gli "apparecchi da intrattenimento" (immagino siano le "slot machines"); quasi 12 con le Videolotterie e oltre 7 con il Poker online.
Insomma un totale di quasi 75 miliardi di euro, in forte progressione rispetto ai 62 dell'anno precedente, i 54 del 2009, i 48 del 2008 e i 42 del 2007: ben 280 miliardi di euro in un solo quinquennio o, se si vuole, una media di 56 miliardi l’anno, arrivati però già due anni fa a 75 miliardi in un singolo anno. Come dire 1.250 euro a persona considerando anche i neonati e gli ultranovantenni, oppure una media di 3.000 euro per ognuna dei 24,5 milioni di famiglie italiane.
Bene: di questi 280 miliardi lordi solo 42 rappresenterebbero l’introito per lo Stato, così come rispetto ai 75 miliardi lordi del 2011 l’introito per lo Stato sarebbe stato di soli 9,3 miliardi (v. tabella).
 
Dal n. 48 di Sette, inserto del Corriere della Sera del 1° dicembre 2011
Certo ci dovrebbero poi essere le tasse che gli operatori del settore dovrebbero pagare sui loro guadagni ma se è vero quel che si è letto di recente sui giornali pare che lo Stato abbia qualche difficoltà a incassare queste somme: se non ho capito male si dovrebbe essere accumulato un credito di 90 miliardi in non so quanti anni.
Settantacinque miliardi spesi nel gioco meno i 9,3 miliardi incassati dallo Stato vuol dire che in un solo anno sono stati sacrificati al brivido da adrenalina più di 65 miliardi di euro e resta il fatto che proprio quelli che strillano di più per l’IMU, per l’Iva e le pensioni “d’oro” sono quelli che ogni mese sfidano la fortuna con centinaia di euro. E si perché se 1.250 euro l’anno a persona o 3.000 euro a famiglia equivalgono rispettivamente a 100 e a 250 euro al mese, è anche vero che questi dati, calcolati su tutti e 60 i milioni di italiani, sono come la classica “media di Trilussa” ma poi a tentare la fortuna al gioco sono soprattutto i ceti meno abbienti e i 100 o 250 euro al mese per loro si moltiplicano per due, per tre o per quattro, come nel caso mostrato l’altra sera a Report dell’anziano che con una pensione di 500 euro al mese ne spendeva tre quarti in sala giochi.
E’ ovvio che con i propri soldi ognuno è libero di fare ciò che vuole ma quando son finiti fa una certa differenza vedere come”sono stati spesi: ben diverso è il caso di chi non arriva a fine mese perché ha dovuto comprare scarpe, vestiti, cure mediche e libri di scuola ai figli da quello di chi non ci arriva perché s’è giocato lo stipendio al lotto e se sono veri i dati pubblicati non stiamo parlando di qualche centinaio di maniaci del gioco: 75 miliardi di euro in un anno sono 150 mila miliardi delle vecchie lire e a spenderli tutti ci vuole qualche milione di persone!!
La considerazione più triste è quella di vedere uno Stato che anziché investire nella scuola, nella ricerca e nel lavoro per dare una speranza e un futuro ai propri giovani s’è ridotto invece, senza neanche riuscirci vista l’evasione nel settore, a speculare sulle illusioni di chi spera di dare una svolta alla propria vita tentando la fortuna al gioco.
Sessantacinque miliardi l’anno al netto dei 9,3 incassati dallo Stato serviranno pure a tenere in piedi il settore del gioco (che non ho la minima idea di quanti lavoratori impieghi direttamente e tramite l’indotto) ma viene spontaneo pensare a quante tasse si potrebbero ridurre, quanti investimenti si potrebbero fare per scuola, sanità e lavoro, quante pensioni minime si potrebbero ritoccare con quei 65 miliardi l’anno e magari resterebbe anche qualcosa per iniziare a provare a ridurre gradualmente il debito pubblico.

lunedì 4 novembre 2013

La indifendibile Cancellieri

di Achille Nobiloni

Non per “dolo” né per “colpa” ma per “responsabilità oggettiva”: nel caso delle cariche pubbliche la regola “in dubio pro reo” va applicata al contrario.

Domani la ministro Cancellieri riferirà in Parlamento sul caso Ligresti. Per quante e quali sfumature possa utilizzare nel suo intervento quella che la riguarda è una vicenda da valutare senza troppi distinguo in base al criterio di “responsabilità oggettiva” che va applicato alle cariche pubbliche nell’esercizio delle loro funzioni. In altre parole: esistono cose consentite alle persone comuni che non possono però essere permesse a un ministro della Repubblica.
Può non esserci nulla di male a volersi informare delle condizioni di salute della figlia di vecchi amici incappata in una questione giudiziaria e per questo detenuta ma una cosa è farlo in modo discreto, per interposta persona, e altra cosa è farlo di persona dalla posizione di ministro Guardasigilli. Può essere verissimo (giudizi di merito a parte: il “Non è giusto!” pronunciato al telefono con la moglie di Ligresti) che la Cancellieri non avesse  alcuna intenzione di esercitare pressioni sui funzionari interpellati e che questi ultimi non si siano lasciati né impressionare né influenzare dalla sua telefonata ma è indubbio che una telefonata del Guardiasigilli non è una cosa usuale e quindi quell’effetto avrebbe potuto averlo ed è questo un primo motivo per cui quella telefonata, di persona, non andava fatta.
 
 
Un altro buon motivo lo si trova nell’articolo 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza: quanti sono i cittadini comuni che tra le proprie amicizie possono vantare quella di un ministro pronto a spendersi, in caso di bisogno, con una telefonata personale a funzionari dello Stato per informarsi dello stato di un iter o di una persona fisica? Non importa che nella fattispecie l’intenzione o il risultato di quella telefonata non siano state quelle che molti imputano al ministro, conta il fatto che quella telefonata non rappresenta un comportamento normale e soprattutto che non tutti i cittadini, ma solo un ristrettissimo gruppo di amici personali del ministro, abbiano la possibilità di poter contare su un simile trattamento e non in base a un loro diritto o particolare situazione oggettiva ma solo in virtù di un’amicizia esclusiva e quindi di un privilegio.
Insomma quel che rende indifendibile la ministro non è il presunto “dolo” nella sua azione e forse neanche la eventuale “colpa” nel non aver pensato a possibili conseguenze e risvolti di quella telefonata quanto piuttosto la “responsabilità oggettiva” legata al fatto che certe cose nella sua posizione non si fanno e basta!
Domani in Parlamento verrà probabilmente fuori che la ministro si è interessata anche ad altri casi simili, che la telefonata non ha avuto alcun effetto pratico perché l’iter di scarcerazione era già stato avviato, che non era assolutamente intenzione della ministro esercitare alcuna pressione, ecc. ecc. e qui si potranno innescare mille controdeduzioni tipo che: non risulta esistere uno sportello intitolato “scrivi al ministro” presso cui chiunque possa rivolgersi per chiedere la scarcerazione di un congiunto oppure che quando la ministro ha telefonato non poteva sapere se i magistrati avessero o no già deciso di scarcerare la Ligresti oppure, ancora, che è difficile provare quali fossero le reali intenzioni della ministro al momento della telefonata, ecc. ecc.
Insomma una verità oggettiva sulla vicenda non c’è e non è facile appurarla. Di oggettiva c’è solo la responsabilità di aver fatto una cosa che a un ministro non dovrebbe essere consentita, una “responsabilità oggettiva” che nei confronti di un ministro, come di qualsiasi altra carica pubblica, dovrebbe servire a fugare ogni possibile dubbio o sospetto. Infatti se nel caso di un normale cittadino vale la regola “in dubio pro reo”, nei confronti delle cariche pubbliche questa regola andrebbe applicata al contrario.
Ecco perché, pur con tutta la più buona volontà, la ministro Cancellieri è indifendibile e nella seduta parlamentare di domani farebbe bene a rassegnare le proprie dimissioni per la credibilità sua e delle Istituzioni.