sabato 28 dicembre 2013

Retributivo, contributivo e conflitto generazionale

Quando l'informazione parziale rischia di alimentare equivoci e malessere sociale

di Achille Nobiloni

Forse sopito, solo per il momento, il tema delle “pensioni d’oro” c’è chi torna a gettare benzina sul fuoco alimentando, si spera inconsapevolmente, se non proprio l’”odio” quanto meno lo “scontro” intergenerazionale questa volta sul tema del confronto tra regime retributivo e regime contributivo.
“Caro pensionato che ti lamenti che la tua pensione retributiva di 2.000 euro lordi sia bassa, vallo a raccontare a un giovane precario”: questo ad esempio il tweet recente non di un qualsiasi populista dell’ultima ora ma di un noto economista, professore e autore di articoli su testate nazionali, e questo l’immediato tweet di replica di uno dei suoi lettori: “… e soprattutto pensa cosa gli rubi con il retributivo che ti è stato graziosamente riconosciuto. #contributivopertutti”.
Si direbbe insomma che sia proprio un’abitudine tutta italiana quella di spostare l’attenzione dagli aspetti centrali a quelli periferici di un dato tema o presentare le cose guardandole non di fronte ma da un angolo laterale e quindi con una prospettiva distorta, con tutto quel che ne consegue.
Tanto per partire dall’esempio delle “pensioni d’oro”: in Italia ci sono circa 16 milioni e mezzo di pensionati, dei quali 7,2 non arrivano a 1.000 euro lordi al mese (circa 2,2 sono addirittura sotto i 500 euro), circa 6,8 milioni hanno una pensione tra i 1.000 e i 2.000 euro, circa 2,4 milioni beneficiano di un assegno compreso tra i 2.000 e i 5.000 euro lordi al mese e meno di 150 mila pensionati ricevono un assegno di oltre 5.000 euro al mese. Bene, se quasi la metà dei pensionati italiani è sotto i 1.000 euro al mese e oltre 2 milioni di essi non arriva neanche a 500 euro sembra quasi che la colpa non sia stata del sistema previdenziale italiano (bassa età pensionabile, baby pensioni, cattivo uso degli ammortizzatori sociali, ecc.) ma di quel 14% di lavoratori che ha avuto l’ardire di andare in pensione con “pensioni d’oro” (!!) comprese tra i 2.000 e i 5.000 euro lordi al mese.
Se invece ci riferiamo al conflitto intergenerazionale e leggiamo quel che scrivono il nostro economista e il suo follower su twitter (lo dico senza ironia e con il massimo rispetto) allora dovremmo concludere che anche una pensione di 2.000 euro mensili lordi dopo quarant’anni di lavoro, giacché retributiva anziché contributiva, è comunque un furto nei confronti del giovane precario di oggi.


E già perché in questo modo il giovane precario o il giovane disoccupato anziché arrovellarsi a capire con chi prendersela per la situazione spiacevole in cui si trova (uno Stato imprevidente che anziché pensare a scuola, ricerca, formazione e a favorire gli investimenti, lo sviluppo e l’occupazione ha sperperato risorse in una spesa pubblica clientelare e inefficiente coperta per lo più con sempre nuove tasse; imprenditori nel corso dei decenni attratti più dalla finanza che dall’industria; sindacati autoreferenziali sempre più attenti al mondo della politica che a quello del lavoro; ecc.) avrà davanti a se persone fisiche, in carne e ossa, cui imputare la propria precarietà o la propria disoccupazione: il padre, lo zio, il vicino di casa e tanti altri che con la loro pensione retributiva “d’oro” di 2.000 euro lordi al mese gli starebbero rubando il futuro.
Non sono né un economista né un giurista né tanto meno un politico e quindi lascio ad altri riflessioni su temi quali rendimenti, diritti acquisiti, redistribuzione della ricchezza, conflitto intergenerazionale, ecc. Avrei però qualche domanda alla quale mi piacerebbe che qualcuno che in questi settori ne sa più di me mi rispondesse.
La prima, rivolta soprattutto a chi invoca il “contributivo per tutti” subito, riguarda proprio quell’85% di pensioni sotto i 2.000 euro lordi al mese: non sono state anch’esse calcolate col sistema retributivo? Cosa accadrebbe loro se da domani mattina venissero ricalcolate e pagate col sistema “contributivo per tutti”? Non so certo dire di quanto ma credo che calerebbero tutte subito, sia quelle sotto i 2.000 euro sia quelle sotto i 1.000, salvandosi forse solo quelle sociali e quelle di invalidità che immagino calcolate con metodi diversi dal retributivo o contributivo. Credo anche che non ci potrebbero essere soglie al di sopra o al di sotto delle quali applicare l’uno o l’altro metodo dal momento che ciò produrrebbe una disparità di trattamento (ma la Costituzione sancisce il principio di uguaglianza) che inoltre si andrebbe a sovrapporre, alterandolo credo illegittimamente, al meccanismo della progressività del prelievo fiscale.
Mi chiedo poi se siano stati elaborati sistemi di calcolo attendibili sulla differenza di trattamento derivante dall’applicazione retroattiva del metodo contributivo e se si abbia un’idea concreta di quanto si potrebbe “recuperare” con questa misura.
Mi chiedo anche se sia corretto cambiare continuamente le regole del gioco, prima con un innalzamento improvviso e sensibile dell’età pensionabile e poi con una eventuale riduzione retroattiva della pensione a tutti coloro i quali, non toccati dalla riforma Dini, non erano stati indotti neanche a riflettere sull’opportunità di far ricorso alla previdenza integrativa nel frattempo introdotta.
Infine mi chiedo se un precario di oggi riceverebbe un vantaggio maggiore dal taglio improvviso della pensione retributiva del padre, che magari lo aiuta ad arrivare a fine mese, o piuttosto da misure mirate a favorire lo sviluppo e l’occupazione. E non mi si dica, per i motivi che abbiamo visto sopra, che queste misure potrebbero essere finanziate proprio con i tagli alle cosiddette “pensioni d’oro”.

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