di Achille
Nobiloni
Allegria, speranza ma anche una buona dose di
angoscia e un pizzico di tristezza: questo è quel che provo quasi sempre quando
mi fermo a guardare i visi degli adolescenti di oggi e non certo per le
incognite del loro domani quanto per la condizione del loro oggi.
A vederli così, in gruppo, all’uscita della
scuola, alla fermata dell’autobus, con i loro zainetti in spalla, i loro
improbabili tagli di capelli, i loro jeans, giubbini, scarpe da ginnastica più
o meno di marca e, perché no, con qualche orecchino o piccolo tatuaggio sparsi qui
e là, fanno sorridere e mettono allegria: in gruppo i ragazzi sono uniti, scherzano
tra loro, si corteggiano, parlano di tutto, gareggiano fra loro in simpatia,
arguzia, fascino e tutti insieme creano un’onda di gioventù e vitalità che da
appunto speranza, speranza che la crisi finisca e che loro, gli adolescenti di
oggi, riescano prima o poi a risollevare le sorti del Paese.
I guai, almeno per me, cominciano quando mi
metto a guardarli in viso uno per uno e a farmi mille domande su ognuno di essi.
Infatti a guardarli singolarmente si colgono piccole differenze dietro le quali
si nasconde tutto un mondo. Un mondo che non sempre è allegro e spensierato come
quando questi ragazzi sono tutti insieme, tutti in gruppo.
Cominci col notare uno sguardo velato di
tristezza, un’occhiata di nascosto alle scarpe nuove dell’amico, uno zainetto
rattoppato e altri piccoli segnali che ti fanno cogliere tante differenze e
dalle differenze materiali cominci a riflettere sulle altre, sulle differenze
sociali, sulle diverse situazioni familiari e ti chiedi come sia il rientro a
casa per ognuno di questi quindicenni.
A me capita spesso di immaginare i molti che
avranno i genitori separati, dei fratelli piccoli da accudire, il padre disoccupato,
la madre ammalata, l’ufficiale giudiziario fuori la porta di casa; oppure
quelli che non sanno cosa voglia dire pranzare o cenare tutti insieme; quelli
che si rinchiudono nella loro cameretta isolandosi mentre i genitori litigano
nell’altra stanza; quelli che vedono il padre o la madre preoccupati per il
lavoro, la salute o i soldi e non sanno, i ragazzi, come potersi rendere utili
e che reagiscono ammutolendosi, non studiando, uscendo da soli o diventando
intrattabili e violenti.
E poi mi chiedo quali pensieri affollino la
mente di questi ragazzi quando, lasciato il gruppo e rientrati a casa, si
ritrovano nelle situazioni critiche sopra descritte. Come giudicano i genitori:
incapaci? sfortunati? deboli? egoisti? Cosa provano nei loro confronti:
commiserazione? risentimento? indifferenza? Come immaginano il loro futuro? Come
si sentono giudicati dai genitori? Un peso? Una responsabilità? Una delusione? Quali
effetti la situazione familiare avrà su di loro? Si sentono incapaci di reagire
a essa o invece fiduciosi di riuscire a cambiare la loro condizione e a far
meglio dei genitori? Per quanti di essi la loro condizione sarà uno sprone e
per quanti altri sarà invece un ostacolo?
In fondo a quindici anni tutti i ragazzi
avrebbero diritto alle stesse opportunità e alla stessa spensieratezza ma non è
così! Finché sono tutti in gruppo e li si guarda da lontano, sembrano tutti
uguali e ci può essere chi li giudica allegri e divertenti e chi rumorosi e
fastidiosi ma è guardandoli più da vicino e soprattutto guardandoli uno a uno
che ci si rende conto di quante differenze ci siano e purtroppo anche di quante
sofferenze: disagi che non sono notati per distrazione, che anche se notati non
sono capiti per ignoranza e superficialità o non possono essere curati perché non
ci sono il tempo o i soldi per farlo.
Qualcuno dirà che quella che sto descrivendo è
una situazione da paese in via di sviluppo (il che non può essere certo
considerata una giustificazione accettabile) e che le cose non stanno poi
proprio così e queste situazioni non sono così gravi né così diffuse (e anche
questa non sarebbe comunque una giustificazione valida) ma invece non è vero:
le cose stanno proprio così e queste situazioni nel corso degli ultimi anni
sono andate diffondendosi e aggravandosi sempre di più.
Istruttive al riguardo le prime righe dell’introduzione al libro “Come salvare il capitalismo”,
interessante saggio sulle diseguaglianze sociali, in cui Robert B. Reich
chiede: “Vi ricordate quando il reddito
di un singolo insegnante o fornaio o commesso o meccanico era sufficiente per
comprare una casa, avere due automobili e crescere una famiglia?”. Ebbene
questo non accadeva solo negli Stati Uniti ma anche in Italia e oggi non è più
così e la maggior parte delle famiglie è costretta a fare salti mortali per
arrivare alla fine del mese e spesso chi ne risente di più sono proprio gli
adolescenti. Disagi economici che creano disagi sociali che creano disagi psicologici
ed è per questo che l’allegria e la speranza che mi suscitano le comitive di
adolescenti all’uscita della scuola o alla fermata dell’autobus sono sempre
accompagnate da una buona dose di angoscia e un pizzico di tristezza.
Nessun commento:
Posta un commento